365 giorni all’anno
Racconta Giovanni che a Musei gli abitanti erano contadini o minatori. Ma per campare da agricoltore dovevi avere qualche ettaro di terra e almeno un giogo di buoi. Per gli altri non restava che il lavoro di miniera. E le miniere erano quelle di Iglesias: Monteponi o San Giovanni; oppure Sa Duchessa; o ancora Montevecchio. Ci si andava a piedi, attraversando le montagne. Si camminava anche per due giorni filati. Così a casa gli uomini tornavano raramente. “La miniera non chiudeva mai, si lavorava 365 giorni all’anno, a ciclo continuo. E come cibo ci si apparecchiava fave lesse. Ho lavorato dagli anni 50 agli 80. Lavoravo 8 ore al giorno, come conduttore alla macchina di estrazione. La polvere mi stava sempre addosso, in bocca. Non facevo che inghiottirla. Mi sono ammalato di silicosi. In miniera si respira male, c’è caldo, Fino agli anni 60 mancava anche l’attrezzatura adatta. Poi sono arrivate le macchine, nel ’65, dove stavo io, anche l’aria condizionata. Allora le cose sono un po’ migliorate. Ci fecero i camini di sfogo… Pensavamo che la miniera fosse la nostra fortuna, la fortuna dei nostri paesi, ci dava pane… in cambio si prendeva i nostri polmoni, le nostre vite. Il fango che c’era… lavoravamo nel fango e ci davano due lire. Avvolti dall’odore dei minerali, della candela a carburo. Del piombo che è il peggiore di tutto. Tenevamo le mani nell’acido muriatico, solforico, usavamo il cianuro. I guanti c’erano ma non ce li davano quasi mai. Sono stati anni di fatica, lotta, fame. Non c’era tempo per riposare. Ci si stordiva di vino appena usciti da quelle viscere. Lo stipendio degli uomini finiva nelle cantine della società. Contraevamo debiti infiniti che ci venivano scalati dallo stipendio non ancora maturato. I soldi rimanevano sempre nelle stesse tasche. Al massimo facevano un giro di valzer, prendevano una boccata d’aria, ma sempre tornavano nella medesima cassaforte. “Pappai pane asciuttu e loro a doppia ganascia.”
Giovanni Secci
Ex minatore. Musei, 2006