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Racconti dal Passato

Arenas, miniera a cielo aperto

Dentro prendi la silicosi, all’aperto c’è sole, freddo, vento. Chi lavorava qui aveva l’obbligo di residenza e doveva essere disponibile sempre. Così tra le famiglie si stringevano forti legami, vincoli di appartenenza e la domenica si mangiava tutti insieme. Ma poco, perché quel poco c’era. Arenas era una miniera a cielo aperto. I minatori stavano allo sbaraglio del sole e del gelo, del ghiaccio e della polvere, che non mancava mai, e che d’inverno si faceva fango. Lavoravano in quel cantiere spalancato e in qualche galleria minore. Ma pure vivevano su questo monte, dentro questi boschi. La residenza era d’obbligo. Così lavoravi e nel tempo fra un turno e l’altro rimanevi a disposizione della società.

Più che un lavoro sembrava una condanna, Fine turno: mai. C’erano la scuola, una decina di famiglie, uno spaccio. Le maestre arrivavano e chiedevano il trasferimento, allo spaccio si comperava il cibo più caro di tutto il circondario, la società mineraria in posizione di monopolio imponeva i prezzi e decurtava il consumato direttamente dallo stipendio. Anche per stendere i panni bisognava chiedere permesso: al vento. Che quel giorno soffiasse in direzione contraria. Lo stipendio bastava giusto per mangiare raccontano Rina e Giuseppe Muscas e “seghendi a fini a fini” e stringendo anche. Ma, ad Arenas, si stava bene anche, la gente si conosceva, tutta, e la domenica si mangiava insieme: le torte cucinate, i funghi trovati… tutto il racimolato era sulla tavola. Così è la realtà di questa terra aggiunge Giuseppe e “a chi ha lavorato in miniera per sempre resterà vivo il suo sapore”. Poi venne la guerra. “E mi imbarcarono. Facevamo la guerra e non sapevamo nemmeno perché, per chi. Ci uccidevamo l’uno con l’altro, ci ammazzavamo a vicenda. Poi ci hanno imbottigliato, fatto prigionieri. E quando sono tornato mi sono sposato e sono tornato in miniera. Ad Arenas. Era l’unico modo per mangiare.”

 

Rina e Giuseppe Muscas

Iglesias, luglio 2006

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