Dal neolitico antico (circa 6000 a.C.) fino ai giorni nostri, la presenza dell’uomo nell’area sud-occidentale della Sardegna è stata caratterizzata da un intenso rapporto con le rocce e con il sottosuolo. Prima per trovare riparo e dare sepoltura, nelle cavità carsiche naturali e nelle domus de janas, strutture sepolcrali appositamente scavate; più tardi, in modo particolare a partire dall’età nuragica (1500-800 a.C.), per estrarre le preziose risorse minerarie (minerali e metalli).
L’attività estrattiva si è sviluppata nei secoli con alterne vicende lasciando nel territorio tracce profonde. Fra queste c’è la rete viaria, realizzata per assicurare la mobilità delle persone e il trasporto dei minerali dal sito di estrazione a quello di trattamento e di utilizzo.
Tali antiche vie di comunicazione comprendono:
Si tratta di strutture viarie spesso dimenticate e abbandonate all’incuria e alla distruzione, che sono state individuate e mappate dai volontari dell’Associazione Pozzo Sella con l’ausilio e il supporto della vecchia cartografia e delle testimonianze dirette dei minatori, memoria viva della grande funzione svolta storicamente da queste strade, e che oggi possono essere riscoperte grazie al Cammino Minerario di Santa Barbara.
Non si propone, dunque, un itinerario nuovo, ma antichi percorsi sui quali, fin dal neolitico antico, si sono incontrati e hanno camminato assieme numerose popolazioni del bacino del Mediterraneo e del continente europeo.
Intorno al II millennio a.C. comincia lo sfruttamento dei minerali di piombo e argento, scavati lungo i filoni superficiali dell’Iglesiente, del Sarrabus e della Nurra, dove sono state anche individuate le prime officine fusorie.
Nell’età nuragica si diffonde il commercio dei minerali metalliferi e dei loro prodotti con gli altri popoli mediterranei. Come testimoniano i famosi bronzetti nuragici, intorno al 1000 a.C., le popolazioni locali avevano sviluppato solide basi minerarie e abilità metallurgiche.
Lo sfruttamento delle miniere metallifere prosegue con l’invasione fenicio-punica della Sardegna. Le tracce delle escavazioni dell’epoca persisteranno fino alla metà dell’Ottocento, prima di essere cancellate dagli scavi della moderna industria estrattiva.
Nel 138 a.C., con la vittoria di Roma su Cartagine, la Sardegna passa sotto il dominio romano. Le miniere vengono scavate a profondità notevoli, con l’impiego di tecniche più avanzate, e di schiavi e prigionieri condannati ai lavori forzati ad metalla (“nelle miniere metallifere”) Roma fonderà città minerarie come Plumbea e Metalla, e darà corso alla realizzazione di officine fusorie in diverse zone dell’Isola, ma soprattutto nelle aree metallifere dell’iglesiente. Con la caduta dell’Impero romano l’attività mineraria in Sardegna va in declino e per un lungo periodo se ne perdono le tracce.
È solo nel XII secolo che si registra la ripresa dello sfruttamento delle miniere a opera del pisano conte Ugolino della Gherardesca, che fa di Villa di Chiesa, l’attuale Iglesias, una fiorente città mineraria, chiamata anche la città dell’argento.
Dopo la fine della signoria di Ugolino, Iglesias e le sue miniere passano, nel 1302, sotto il dominio del Comune di Pisa.
Pochi anni dopo, nel 1323, la Sardegna viene conquistata dagli Aragonesi. Gli aragonesi ridimensionano notevolmente l’attività estrattiva e utilizzano i minatori iglesienti per aprire nuove miniere in Catalogna.
Nel 1720, con il passaggio della Sardegna ai Savoia, le miniere sono affidate a vari concessionari che si limitano allo sfruttamento dei filoni più ricchi senza, peraltro, conseguire risultati apprezzabili.
Nella seconda metà dell’Ottocento l’impetuoso avvento dell’era industriale genera una forte richiesta di metalli; le più grosse imprese italiane ed europee danno avvio a un intenso sfruttamento delle miniere metallifere sarde, alle quali si aggiungono presto le produzioni carbonifere, a supporto dei forti consumi energetici richiesti dagli impianti metallurgici.
La crescente richiesta di galena argentifera e, a cominciare dal 1865, anche di minerali di zinco (calaminari), danno un forte impulso all’apertura delle grandi miniere dell’Iglesiente e del Guspinese (Monteponi, San Giovanni, Nebida, Masua, Ingurtosu e Montevecchio) attorno alle quali vengono realizzati grandi impianti minerari: scavo di pozzi, gallerie, laverie, fonderie e costruzione di vari serivizi.
Alla fine dell’Ottocento la Sardegna fornisce all’Italia la maggior parte del fabbisogno di metalli, la quasi totalità dei minerali di piombo (98,7%) e di zinco (85%). Il secolo si chiude con la partecipazione di alcune società minerarie sarde all’Esposizione Universale di Parigi, e all’inizio del ‘900 l’industria mineraria sarda poggia su solide basi, grazie anche agli estesi interventi di meccanizzazione intrapresi in tutte le miniere.
L’industria mineraria della prima metà del ‘900 attraverserà alcuni momenti di grave difficoltà, che tuttavia saranno sempre superati fino allo scoppio della prima guerra mondiale, che determinerà la chiusura dei mercati europei e una drastica riduzione dei lavori minerari.
Nonostante la crisi del 1929, resistono ancora le grandi miniere. Inoltre la politica autarchica spinge l’incremento dell’estrazione di carbone, con l’apertura della grande miniera di Serbariu e la fondazione della città di Carbonia negli anni ‘30.
Negli anni Cinquanta le produzioni riprenderanno quota, toccando vertici mai raggiunti grazie all’innovazione dei metodi di coltivazione e alla modernizzazione di tutti gli impianti.
Ma già verso la metà degli anni Cinquanta cominciano a farsi sentire gli effetti della perdita di competitività dell’industria mineraria sarda nei confronti del mercato europeo e internazionale, ai quali è legato il prezzo dei metalli.
Nei primi anni ‘60 diverse società cessano le attività, per giungere alla fine del decennio al definitivo ritiro del capitale privato che obbligherà lo Stato e la Regione a intervenire sempre più massicciamente, fino a diventare gli unici gestori delle miniere.
Nonostante i grandi lavori di ricerca e di ammodernamento del settore minerario la situazione va sempre peggiorando, sino a giungere alla chiusura delle ultime miniere a metà degli anni novanta del secolo scorso.
Alla cessazione della tradizionale attività estrattiva della Sardegna si è giunti dopo una lunga agonia, iniziata nei primi anni 60, e caratterizzata da estenuanti lotte sindacali.
In questo processo, il grande patrimonio di archeologia industriale delle miniere che progressivamente venivano dismesse è stato del tutto trascurato, causando la perdita e la distruzione di strutture, attrezzature e macchinari.
Con l’affermarsi dell’idea di un Parco Geominerario come strumento per la conservazione e la valorizzazione di questo patrimonio, proposta negli anni 80 del secolo scorso da alcune associazioni di volontariato, si è preso finalmente coscienza dell’importanza di questo patrimonio; e così, a partire dalla seconda metà degli anni 90, hanno avuto inizio i primi interventi di recupero e di tutela di alcune strutture sotterranee e superficiali.
Di rilevante importanza per promuovere l’istituzione del Parco Geominerario è stato il prestigioso riconoscimento internazionale dell’UNESCO promosso dal Governo nazionale e dalla Regione Sarda su proposta dell’Ente Minerario Sardo che ha portato nel 1998 alla sottoscrizione della Carta di Cagliari (vedi allegato) con la quale i firmatari si impegnavano ad adottare gli atti necessari per la formale istituzione del Parco Geominerario.
Tuttavia, nonostante il prestigioso riconoscimento internazionale dell’Unesco, la nascita del Parco Geominerario è stata molto travagliata. Si è giunti alla sua istituzione a seguito di una grande mobilitazione popolare che ha sostenuto la lotta pacifica e non violenta durata un intero anno nei sotterranei della miniera di Monteponi ad Iglesias. Di fronte alla situazione di inerzia del Parlamento l’allora consigliere regionale Pietro Pinna, ora presidente della Fondazione, decise di intraprendere una forma di protesta estrema con l’occupazione del Pozzo Sella della miniera di Monteponi. Subito dopo si unirono alla protesta 500 lavoratori precari che aspettavano di essere stabilizzati con la nascita del Parco Geominerario.
Il sostegno di una grande e straordinaria mobilitazione popolare fu decisivo per consentirci di resistere nel pozzo per un intero anno e per il successo della protesta.
A seguito di quella lotta, iniziata il 5 novembre del 2000 e conclusi il 6 novembre del 2001 alla presenza in miniera del Ministro dell’Ambiente si ottenne:
Fondazione Cammino Minerario di Santa Barbara
Via Cattaneo, n°70
09016 Iglesias (SU)
Orari di apertura: dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 17
Tel: +39 0781 24132 – 375 5167275
email: info@camminominerariodisantabarbara.org
segreteria@camminominerariodisantabarbara.org
pec: camminodisantabarbara@pec.it
C.F. 90039300927 – P.I. 03740820927